mercoledì 28 novembre 2007

Com és diu "neurone" en català?

[E l'Eterno disse:] «Orsù, scendiamo laggiù e confondiamo la loro lingua, affinché l'uno non comprenda più il parlare dell'altro»

(Genesi, 11, 7)


Qui a Barcellona, il 47% dei miei interlocutori parla in catalano e il 43% parla in spagnolo.
Effetto principale di questo bilinguismo è che i pochi neuroni rimasti attivi al'interno della mia scatola cranica, faticano a ricevere qualsiasi segnale proveniente dal nervo acustico, qualunque sia l'idioma utilizzato dalla persona che mi sta parlando. Al punto che, talvolta, ho il timore che mi reputi idiota anche il restante 10% dei miei interlocutori, quel 10% che rappresenta le persone che mi parlano in inglese o in italiano.
Poveri neuroni! Rimasti in pochi a svolgere compiti così importanti... Beh, forse non molto importanti, ma comunque difficili... Poveri neuroni! Sommersi da tanti doveri in breve tempo e da pochissimi messaggi facilmente decifrabili!
Mi chiedo se queste piccole grandi cellule nervose abbiano vita autonoma... Cioé, mi chiedo se possa essere veritiera un'immagine dei neuroni tipo cartone animato di Siamo fatti così. E provo a immaginare i miei neuroni sani in quel contesto: costretti a moltiplicare la propria produttività a causa di molti colleghi inetti, la cui efficienza è stata drasticamente ridotta da capocciate e alcool; costretti a sforzi sovraumani a distinguere catalano da castigliano; costretti a tutto ciò senza nessun adeguamento di stipendio. Me li immagino sul piede di guerra, armati di striscioni e megafoni a urlare "RICCARDO, VAFFANCULO!!!!". Me li immagino emigrare verso altre scatole craniche, generando una vera e propria fuga di cervello, che nessun ministro della ricerca, né italiano né spagnolo, sarebbe in grado di fermare! Ma dove potrebbero mai fuggire quei pochi neuroni tutti insieme? Secondo me, si dirigerebbero verso l'antica città di Babele, per vedere cosa é rimasto di quella splendida, mitologica torre. Per vedere cosa è rimasto di quella mitologica, fottutissima torre di Babele che ha costretto me, dottorando emigrante ed innocente, alla punizione di una forte incomprensione linguistica, con l'aggravante della confusione generata da un bilinguismo esasperato...

Bilinguismo esasperato ed esasperante... E temo che lo sciopero dei miei neuroni sia già iniziato: non riesco più a controllare i miei pensieri, il post si sta concludendo da solo, senza il mio controllo... Forse, è proprio ora di concedere al mio cervello un attimo di riposo: speriamo che basterà quello a riattivare quei poveri, piccoli neuroni senza compagnia...

Buona notte!

mercoledì 21 novembre 2007

Al di là del fosso

L'aereo, ah, l'aereo è invece alluminio lucente,
l'aereo è davvero saltare il fosso

(F. Guccini, Argentina)


Lunedì mattina: sveglia presto. Molto presto per quello che ero abituato fino a quel giorno. Molto presto considerata anche la notte quasi insonne.
Lunedì mattina: check in, caffè, giornale, metal detector, chiamata di tutti i passeggeri al gate 12 per l'imbarco sul volo FR 4273 delle 8:40 con destinazione Barcellona-Girona...
Lunedì mattina: tutti seduti mentre l'aereo guadagna potenza, accelera, si stacca da terra. Tutti seduti con i propri pensieri in testa: c'è chi dorme e sogna, c'è chi ha fretta di arrivare, c'è chi, anche sull'aereo, continua a parlare di shopping ed acconciature... C'è chi riflette e, riflettendo, vede nei propri pensieri in pochi istanti le immagini più disparate, finchè il proprio flusso di coscienza non viene fermato da un pensiero assordante che recita:

"MA CHE CAZZO STO FACENDO?"

Perchè alla fine è sempre così: non potrai mai capire cosa trovi dall'altra parte del fosso finchè non cominci a saltare. E se il salto è un salto lungo circa un migliaio di chilometri, è necessario un decollo ad una velocità tale da farti dubitare di tutte le tue capacità.



Mercoledì sera: sono due giorni che il fosso è stato saltato.
Mercoledì sera: non riesco ancora a confrontare quello che mi aspettavo di trovare con quello che ho trovato realmente. Forse non ho ancora messo ben a fuoco le immagini che mi si presentano davanti. Non ho ancora regolato il mio obiettivo... Forse non ho ancora avuto l'opportunità di farlo: del resto, questi due giorni al di là del fosso (o forse adesso dovrei dire al di qua?...) hanno significato solo burocrazia, burocrazia, passeggiate in solitaria nel Barri Gotic e lungo Passeig de Gracia, burocrazia, qualche parola con colui che potrebbe diventare il mio nuovo mentore (del resto assomiglia abbastanza al mio vecchio mentore...) e per finire, burocrazia.

Mercoledì sera: la vita oltre il fosso è cominciata. Per me "oltre il fosso" significa Barcellona; ha una morfologia un po' diversa da quell'Argentina nuova ed aliena che Guccini sognava e non sognava, sperava e non sperava. Ma in fondo il suo significato è lo stesso: perchè mi ritrovo anch'io senza sapere se è come un seme che dà fiore o polvere che vola ad un respiro.
E' ancora lì nella mia testa quel pensiero assordante che ho incontrato lunedì mattina, e che ancora adesso non ha una risposta. Del resto lo sapevo bene che non sarebbero bastati due giorni per dare una risposta a quel "Che cazzo sto facendo?" e mettere a tacere quella voce. Forse non basterà un'eternità...
Forse mi toccherà metterla a tacere senza concederle nessuna risposta.

mercoledì 14 novembre 2007

Consuetudini vuote

"La consuetudine è una seconda natura che distrugge la prima."
(B. Pascal)

Io, che bevo il Nescafé davanti al PC... Un'immagine ormai familiare a quel "Grande Fratello" che osserva la mia vita: quello che, però, questa strana entità non ha mai visto sono quelle cose dietro di me, tante, tantissime, pronte ad essere infilati in valigia.
E di fronte a questa immagine, mi viene da chiedere quali abitudini riuscirò a portare con me in questa nuova esperienza di vita. Mi chiedo se dopo cena berrò ancora il Nescafé davanti al PC, se giocherò ancora ad Hattrick, se scriverò ancora questo stupido blog...
Mi chiedo cosa sarebbe stato di me se non avessi avuto queste consuetudini: forse ora sarei completamente diverso... O forse sarei sempre lo stesso personaggio, solo con un vestito diverso!
Non saprei... Non riesco a capire se sono le mie abitudini ad aver costruito il mio essere, oppure se é il mio agire quotidiano a nascere da ciò che sono. Non riesco a determinare un rapporto di causa-effetto tra il mio agire ed il mio essere. Che siano dunque la stessa cosa?
Difficile dare una risposta... Continuo a pensarci, ma senza successo. Continuo a pensarci, osservando quella tazza rossa, posta a destra del PC e ormai vuota. Continuo a pensarci, osservando quella valigia dietro di me, aperta ed ancora vuota. Forse è tutto questo vuoto che mi circonda che non mi permette di trovare una risposta. A meno di una settimana da quel volo che sicuramente cambierà la mia vita, la mia testa sembra un deserto, vuoto e arido, abitato da pensieri che lo percorrono senza lasciar traccia (questo è il motivo per cui è quasi un mese che non scrivo...).
Mi sento vuoto: svuotato di tante consuetudini, buone o cattive che siano. Sento quel senso di vuoto che fa sempre una certa paura. Ma questa volta, la paura é poca. In fondo, il vuoto che mi allarma è quel piccolo vuoto della tazza, rimasta senza caffé... E dall'altra parte, sono affascinato dal vuoto, molto più grande, della valigia: quella valigia aperta, che aspetta di essere riempita di sogni, aspirazioni, progetti... Perchè il vuoto che troppo spesso ci fa paura, è lo stesso vuoto che ci entusiasma, lo stesso vuoto che significa possibilità di costruire o di coltivare quello che preferiamo: perchè solo nel vuoto siamo veramente liberi!

Ormai è ora di partire: svuotato dalle vecchie abitudini, vuoto di aspettative future. Sarà una sensazione temporanea, lo so! Presto, mi sarà consueto un altro paesaggio, un altro stile di vita, altri modi di fare... Altre consuetudini che forse riempiranno qualunque cosa: la tazza, la valigia, la mia testa... Consuetudini che forse distruggeranno la mia prima natura! Spero solo che la distruggano a suon di soddisfazioni...